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						Il felice matrimonio tra gli 
						alpini e Bra è durato quasi un secolo. Celebrato nel 
						1878 si è concluso infatti nel 1975.  
						
						
						Al 1878, infatti, risale l’acquartieramento in città del 
						3° battaglione alpino, mentre appena 4 anni dopo, nel 
						1882, a seguito della prima riorganizzazione del neonato 
						corpo alpini, fu creato il 2° reggimento Bra sul cui 
						vessillo compariva un’aquila col becco aperto e con gli 
						artigli aggrappati fra le stelle alpine. Forte di alcune 
						migliaia di uomini inquadrati nei tre battaglioni Valle 
						Pesio, Colle di Tenda e Valle Schio, di cui i primi due 
						con deposito a Bra, l’arrivo del reggimento impose la 
						rapida e funzionale sistemazione della caserma di via 
						Umberto e l’allestimento della piazza d’armi alla 
						periferia della città. 
						
						
						In quei decenni gli alpini, presenti in città nei mesi 
						compresi tra l’autunno e la primavera, si dedicavano a 
						esercitazioni di tiro, addestramento formale, 
						schieramento in posizione. Giunta la bella stagione i 
						soldati di leva, che indossavano ancora il cappello alla 
						calabrese con la penna nera, solo in seguito sostituito 
						da quello in feltro grigioverde, si spostavano nelle 
						sedi montane ove li attendevano marce, escursioni, tiri.
						 
						
						
						Entità e modalità della presenza alpina in città 
						cambiarono ripetutamente nei decenni seguenti, prima a 
						causa della riforma del 1909 e poi per via quella decisa 
						nel 1926. Di pochi anni successiva fu la creazione a Bra 
						della scuola allievi ufficiali di artiglieria, 
						istituzione militare che riempì la città di baldi 
						ufficiali che frequentavano assiduamente i salotti delle 
						famiglie borghesi  più in vista, di cui spesso 
						impalmavano le vezzose eredi.     
						
						 
						
						
						Il CAR 
						
						
						L’ultimo grande cambiamento, conseguenza della 
						disastrosa campagna di Russia, fu legato alla 
						riorganizzazione militare postbellica che a Bra fu 
						caratterizzata dalla presenza del CAR, il Centro 
						Addestramento Reclute del 4° battaglione Mondovì. 
						Annunciato per il 1949, il CAR partì nella primavera 
						seguente, solo dopo che gli ufficiali di stanza in città 
						ebbero trovato decoroso alloggiamento. 
						
						
						Dal 1950 al 1975 trimestralmente, con un mese di riposo, 
						si susseguirono scaglioni di 1200-1500 reclute circa che 
						qui compirono la loro iniziazione alla vita militare che 
						avrebbero espletato in seguito nelle sedi affettive del 
						battaglione. Calcolando per difetto si può affermare che 
						furono circa 100 mila gli italiani che nel dopoguerra 
						oltrepassarono la garitta della caserma, già Umberto I, 
						che l’Italia repubblicana volle intitolare a Raffaele 
						Trevisan, ufficiale caduto in Montenegro nella lotta 
						contro i tedeschi.   
						
						
						Reclute illustri 
						
						
						Tra i molti giovani dal brillante futuro che passarono 
						per la caserma Trevisan vi furono Giampiero Boniperti, Giorgetto Giugiaro e Carlo De Benedetti, che 
						si aggiunsero, buoni ultimi, a nomi ancora più 
						prestigiosi che a Bra erano transitati in precedenza, 
						primo fra tutti il padre della Costituzione italiana, 
						Umberto Terracini, che nei locali braidesi si era 
						formato durante la Grande Guerra. 
						
						
						La presenza alpina a Bra comprendeva, oltre alla caserma 
						di via Umberto I, le adiacenti caserme Guala, Pellizzari 
						e Cavalli. Un complesso di edifici che i vecchi braidesi 
						definivano semplicemente come ’l quarté,  cioè 
						“il quartiere”, militare ovviamente.   
						
						
						I pilastri della caserma 
						
						
						Poiché gli ufficiali erano entità incombente e temuta ma 
						tutto sommato poco presente, i veri pilastri della 
						caserma furono i marescialli, che nel periodo di maggior 
						splendore giunsero a essere 26. Conoscitori di ogni 
						aspetto della caserma e di ogni esigenza delle reclute 
						provvedevano a tutto consentendo a quell’enorme 
						struttura di funzionare se non in condizioni ottimali 
						quanto meno in modo accettabile. In ciò erano coadiuvati 
						da un numeroso gruppo di alpini, circa 200 persone 
						dotate di titolo di studio e quasi sempre raccomandate, 
						che animavano gli uffici della caserma e coordinavano la 
						squadra del minuto mantenimento, quest’ultima formata da 
						provetti artigiani. Con altre funzioni ma non meno 
						essenziali erano i caporalmaggiori.   
						
						 Il 
						rapporto con la città 
						
						
						L’addestramento delle giovani reclute non si svolgeva 
						solo nelle caserme. Gli alpini, infatti, raggiungevano 
						la piazza d’armi per compiere gli esercizi ginnici, il 
						greto della Stura per effettuare i lanci delle bombe e 
						mano e, ancora, andavano a Pocapaglia con marce che, 
						quando svolte di notte, inquietavano non poco la 
						cittadinanza. 
						
						
						Ma il rapporto vero con la città i militari lo avevano 
						durante la libera uscita. Raggiunta l’ora fatidica le 
						reclute, tranne i comandati e i puniti, davano vita a un 
						incontenibile e spumeggiante fiume umano che si 
						disperdeva nelle strade cittadine. Gli alpini stipavano 
						i cinema cittadini che riservavano loro proiezioni 
						apposite e popolavano, a seconda delle possibilità 
						economiche, i bar, le trattorie e i ristoranti della 
						città. Un capitolo a parte meriterebbe l’assidua 
						frequentazione che fino all’adozione della legge Merlin 
						(1958) gli alpini ebbero della casa di tolleranza. 
						Mentre la truppa a corto di denaro doveva accontentarsi 
						delle donne sprezzantemente definite “da battaglia” 
						presenti nella casa di via Serra 16, l’ufficialità 
						invece poteva permettersi le più avvenenti donne 
						dell’adiacente ed esclusivo Villino delle rose.   
						
						
						 
						
						
						La ronda 
						
						
						Il timore, tutto sommato infondato, che l’esuberanza 
						giovanile delle reclute in libera uscita potesse dar 
						luogo a risse e incrinare in tale modo il positivo 
						rapporto instauratosi con la popolazione civile spinse a 
						creare la ronda. Formata da un caporale e due veci, 
						la ronda perlustrava le strade cittadine vigilando sul 
						comportamento dei bocia. Era popolarmente detta 
						“ronda delle tre c”, vale a dire cinema, casino e cena 
						perché erano quelli i tre momenti e i tre luoghi in cui 
						si consumava la libera uscita. 
						
						  
						
						
						L’indotto economico 
						
						
						La presenza degli alpini ebbe positive, imponenti 
						ricadute economiche su Bra originando un indotto 
						notevolissimo che integrava i redditi di migliaia di 
						braidesi. Si pensi ai fotografi, ai barbieri, agli 
						esercenti di locali e titolari di attività commerciali, 
						fossero essi autisti di piazza o anche solo edicolanti 
						rivenditori di cartoline. Per non dire delle camiciaie, 
						delle stiratrici, dei numerosi fornitori di tutto quanto 
						era necessario per la vita quotidiana della caserma e di 
						chi lì viveva: dalla carne al vino passando per i vetri 
						e i serramenti.   
						
						  
						
						 Il 
						giorno del giuramento 
						
						
						Il momento clou della vita militare, pubblico e privato 
						al contempo, era il giuramento di fedeltà alla 
						Repubblica con cui si concludeva il periodo braidese. 
						Dopo che il fatidico “Lo giuro” era echeggiato nel 
						grande cortile della caserma alla presenza delle 
						autorità politiche, militari e religiose, nell’adiacente 
						piazza Carlo Alberto al suono della fanfara del 4° 
						battaglione si svolgeva la parata militare tra due ali 
						di folla in cui spiccavano migliaia tra genitori, 
						sorelle, fratelli e fidanzate degli alpini. 
						
						
						In quella circostanza rivivevano nei discorsi delle 
						autorità episodi di eroismo alpino. Si ricordavano i 200 
						e più braidesi caduti nella Grande Guerra e gli oltre 
						600 alpini nativi dei comuni inclusi nel mandamento di 
						Bra periti o dispersi nella seconda guerra mondiale. 
						Tornavano alla mente episodi oggi dimenticati che allora 
						commuovevano e inumidivano gli occhi di chi portava 
						sulle spalle, anzi sulla pelle, i segni di anni di 
						guerra. 
						  
						
						  
						
						 
						
						
						La fine 
						
						
						Tutto ciò durò fino al 1975. In quella data il centro 
						addestramento reclute fu spostato in un’altra città. La 
						caserma fu chiusa. Per qualche anno la garrita ormai 
						inutilizzata fu l’ultimo segno visibile di una storia 
						centenaria. Una storia che oggi rivive nella memoria e 
						nelle parole di chi può dire: “Io ho fatto il 
						militare a Bra” 
						
						                                                                                                               
						 
						
						                                                                                                            Fabio Bailo 
						
						                                                                            
						             
						  
						Direttore dell' Istituto Storico di Bra e dei Braidesi     |