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 IL GENERALE CANTORE

 

Il mito

Intorno alla sua figura nasce immediatamente un mito destinato a durare. Due autorevoli giornalisti, pochi giorni dopo la sua morte, compongono infatti nei loro articoli un vero inno a Cantore uomo e soldato. Sono Luigi Barzini, il primo - in tutti i sensi - inviato speciale italiano, esaltato all'estero ma non di rado bistrattato in patria, e Mario Mariani, pure lui corrispondente di guerra, l'anno dopo alpino combattente, in seguito scrittore molto in voga anche se discusso.

Nel dopoguerra il mito continuerà, non imposto dall'alto ma alimentato dalle fiamme verdi tramite il periodico

L'Alpino.

Tra i suoi principali artefici il direttore Bisi, che nel libretto citato all'inizio crea la toccante metafora

del "Paradiso di Cantore" nel quale salgono tutti gli alpini "andati avanti". Non è dunque un caso che la presentazione del volume di Gaslini sia affidata allo stesso Bisi, che ripete i concetti a lui cari e termina con queste parole:

"E per piacere al soldato egli aveva tutto: il coraggio fatto di gesti temerari e di noncuranze a freddo, la parlata rude, salace ed efficace, il pugno di ferro e la fortuna sfacciata".

A proposito della popolarità di Cantore tra i suoi soldati, Gaslini conferma: "Pochi generali furono tanto amati

come questo; eppure, non cercava la popolarità con le parate, i doni, le licenze, il bell'abito, le fiorite parole: stava fra le truppe perché si sentiva più vicino alla grande anima del popolo, perché il posto del capo è vicino ai motori e accanto agli operai".

Curiosamente un parere analogo viene espresso dal giovane Kurt Erich Suckert, giornalista e scrittore di grande

avvenire sotto lo pseudonimo di Curzio Malaparte, nel suo vivace e assai polemico saggio La rivolta dei santi maledetti (Viva Caporetto!): "Quando il Generale Cantore, tipo schietto d'uomo e di soldato, cadde colpito da una palla tra gli occhi, sulle Tofane, il popolo delle trincee guardò i morti distesi fra reticolato e reticolato, i morti senza galloni, e gli parve di vedere tra loro il corpo gigantesco di un generale, disteso accanto ai 'suoi' soldati. Il mito prendeva forma in un nome e in un viso. "Anche i generali muoiono, come noi, essi che tutto sanno ed han le nostre carcasse nel pugno fermo. Gloria a quei morti."

La morte di quel Generale aveva alzato il popolo delle trincee al livello del mitico popolo dei comandanti.

 

Fu un comandante audace, brillante, e la sua morte in prima linea sulle Tofane, improvvisa, eroica, gloriosa, lo ha fatto diventare un mito, una sorta di nume tutelare fra gli Alpini. Si era dunque venuto a creare intorno alla sua figura, dopo la sua morte, in modo marcato, un culto della personalità, come si potrebbe evincere leggendo un articolo apparso sul periodico "LAipino" nel marzo del1920, di cui si riporta un brano:

"Gli Alpini piemontesi lo chiamavano "Toni" e i vene ti "El vecio" colla stessa venerazione colla quale avrebbero detto "Padre". E tale era veramente per i suoi Alpini, sotto la sua ruvida scorza di soldato di vecchio stampo; tutto scatti, di poche parole brevi ed incisive. Inesorabile cogli ufficiali, ai quali tutto chiedeva sapendo di poter tutto ottenere, era d'una bonarietà veramente paterna quando trattavasì di qualche marachella dovuta ad eccessiva vivacità giovanile. D 'un coraggio che sfiorava la temerarietà, era sempre primo tra i primi e pretendeva altrettanto dagli altri; ciò però non gli impediva di dire, in un momento critico, ad un giovane sottotenente che gli era al lato: «Non si affacci; lasci guardare a me che sono vecchio». Tale era il cuore di questo generale che da parecchi che non lo conobbero a fondo, fu giudicato eccessivamente duro».

Un significativo  omaggio a Cantore si trova nel racconto Una storia naturale dei defunti scritto nel 1932 dall'ormai celebre Ernest Hemingway, che aveva trascorso gli ultimi sei mesi di guerra in Italia meritando tra l'altro una medaglia d'argento al valor militare. Ecco il brano relativo alla morte del generale in una bella traduzione, che rispecchia l'inconfondibile stile dell'autore.

"In montagna c'erano dei bellissimi cimiteri, la guerra in montagna è la più bella di tutte, e in uno di questi cimiteri, in un posto che si chiamava Poco!, seppellirono un generale che era stato colpito alla testa da un cecchino.

Ecco dove sbagliano quegli scrittori che scrivono libri intitolati I generali muoiono nel loro letto, perché questo

generale morì in una trincea scavata nella neve, su in montagna, portando un cappello da alpino con una penna d'aquila e un foro sul davanti dove non entrava il dito mignolo e uno dietro dove entrava il pugno, se era un pugno piccolo e ce lo volevi mettere, e tanto sangue sulla neve. Era un gran bel generale, e un gran bel generale era Von Behr, che durante la battaglia di Caporetto comandavale truppe dell' Alpenkorps bavarese e fu ucciso dalla retroguardia italiana nella macchina dello stato maggiore mentre entrava in Udine alla testa dei suoi uomini, e i titoli di tutti questi libri dovrebbero essere I generali di solito muoiono nel loro letto, se proprio vogliamo essere precisi".

Dopo aver apprezzato il lusinghiero giudizio di un esperto: «Era un gran bel generale>>, ancor più colorito

nell'originale: "He was a damned fine generai", si potrebbe sottilizzare che Cantore quando fu colpito non indossava il cappello alpino bensì questo berretto, ma può darsi che Hemingway abbia voluto evidenziare la sua "alpinità".

A perpetuare il ricordo del generale non solo sulla carta stampata è ancora L'Alpino, promuovendo la costruzione a Cortina d'Ampezzo di un monumento inaugurato durante il 2° convegno nazionale dell'A.N.A. nel settembre 1921. Ma gli alpini non hanno dimenticato quanto Cantore aveva fatto in Libia: nella capitale Tripoli viene inaugurato nel marzo 1935, in occasione della 16a adunata nazionale, un altro imponente monumento creato dallo stesso autore dell'opera di Cortina, l'alpino D.U. Diano.

Il Generale Cantore fu dunque uno tra i maggiori interpreti del senso del dovere, quell'identico senso del dovere, è quello che l’Alpino di oggi vuol conservare; nella vita associativa, nei raduni, ma soprattutto nel soccorso del prossimo in qualsiasi circostanza se ne abbisogni.

Ed è per questo che occorre conservare e valorizzare i miti che abbiano saputo dare l’esempio, uguale ed a rappresentanza delle migliaia e migliaia di ignoti che altrettanto come lui hanno dato la vita –a volte anche in forma più gloriosa di lui- ma sempre per un ideale ben preciso e voluto.

Come abbiamo detto fu proprio Mario Bisi, durante il primo conflitto mondiale, redigendo un suo articolo, si può dire, coniò un'espressione, che è entrata orami:li nel lessico degli Alpini, poi tramandata da lungo tempo dai veci ai bocia, e fa parte integrante dell'alone di leggenda che circonda il Generale Cantore: "il Paradiso di Cantore".

Fra gli Alpini sì usa pensare, infatti, che quando un Alpino muore, col suo cappello ben calzato sulla testa, vada direttamente in una sorta di dependance del Paradiso, dove lo attende Cantore, pronto a passare in rivista i suoi Alpini caduti.

Quando verrà il nostro turno, anche noi risponderemo al Generale: "Presente!"

 

 

   
     

 

 

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Ultimo aggiornamento 28 gennaio 2015