Natale in Carnia

Per me era la prima volta. Si, la prima volta che passavo il Natale lontano da casa.

Come nella migliore tradizione, il Natale si passava in famiglia e la vigilia, con gli amici, si partiva a piedi, neve o non neve, e si andava alla messa di mezzanotte al Santuario di N.S. della Guardia. A Genova il Santuario della Guardia è sempre stato un punto di riferimento, sia per i fedeli sia per chi vi si recava solamente per vedere il panorama che gli 805 m. del Monte Figogna, dove è situato il Santuario, permettevano di godere. Il Natale del 1966 non fu così.

 

Mi trovavo a Paularo in Carnia a più di 600 Km dalla mia Genova immerso nella neve, tanta neve, non come quella che veniva qualche volta a Genova.

Avevo pensato che sarebbe stato bello mettere assieme un coro e cantare la notte di Natale in chiesa durante la S. Messa, pensavo che potesse essere un modo per dare qualcosa a quella gente straordinaria che in quel paese così lontano ci aveva accolto nel migliore dei modi.

Misi assieme un gruppetto di Alpini e per qualche giorno provammo quella che doveva essere il nostro grazie: “ Stelutis Alpinis”, una meravigliosa canzone friulana cantata preponderatamente da genovesi, piemontesi.

Come se non bastasse già la lontananza a rendere melanconico quel Natale, si aggiunse anche il fatto che io la notte di Natale ero Capoposto. Come potevo far cantare il “mio” coro? non ricordo bene chi fosse ma qualcuno si presentò per sostituirmi nel tempo della Messa così che io potessi portare il coro in chiesa.

Così feci, con quel coro un poco improvvisato trovammo posto vicino all’altare e, a tempo debito, cantammo la nostra canzone. Non so per quale motivo, ma riuscì benissimo, meglio di quella che ero solito cantare con il coro in cui da borghese allora cantavo: Il Coro Monte Bianco del Gruppo A.N.A. di Genova Rivarolo.

Fu un vero successo che ebbe il potere di commuovere molte persone quella notte. Finita la messa, dopo aver ricevuto i complimenti e gli auguri della gente, ritornai con passo mesto in caserma per completare il mio servizio.

Il giorno dopo, Natale, fu una giornata speciale. Un buon pranzo (e non scherzo) in caserma e la prima sorpresa. - “Il capitano vi vuole parlare” - disse il Tenente alzammo lo sguardo dalle nostre fette di panettone, il Capitano Zanforlin era li seduto su di un tavolo. Il Capitano non era solito rivolgersi a noi in modi gentili, e questo già ci metteva curiosità. - “Cari Alpini” - iniziò così il suo discorso poco formale. Ci disse che forse quello era il primo Natale che passavamo lontano dalle nostre case e distanti dai nostri genitori e che quello era un bene. Subito mi arrabbiai pensando: “ ma allora vuoi girare il coltello nella piaga” ma non feci a tempo ad aumentare la rabbia poiché il Capitano stava arrivando alla conclusione del suo discorso: - “ Vedrete sarà un bene poiché vi renderete conto veramente di quanto valore ha la famiglia, i genitori, i vostri cari. Penserete quante volte magari avreste voluto passare il Natale a divertirvi con gli amici e invece dovevate rimanere con i vostri genitori. Forse vi renderete conto quanto male gli avreste fatto se li aveste lasciati soli” -. Concluse con un buon Natale e si allontanò, capimmo allora che aveva aspettato che finissimo il pranzo per parlarci prima di andare a passare il suo Natale in famiglia.

Fu una mazzata al cuore, Tutti noi, in qualche modo,  ci rispecchiammo nelle sue parole e la commozione si fece strada dal nostro cuore sino ad affacciarsi ai nostri occhi.

Uscii in libera uscita con un “magone” indescrivibile. Con alcuni amici ci stavamo dirigendo verso quel piccolo bar, “La Latteria”, dove eravamo soliti passare il tempo lasciato libero dal nostro servizio pensando che però difficilmente a Natale sarebbe stata aperta.

Qui la sorpresa più gradita. Ci stavano aspettando con tavola imbandita con tanto di Panettone e spumante. Questa meravigliosa gente voleva farci sentire a casa. E per qualche ora lo fummo veramente. Durante tutta la giornata chiunque incontravamo ci ringraziava per il canto della notte e ci augurava buon Natale. Era assurdo, loro ringraziavano noi.

Gente indimenticabile. Indimenticabile come gli anziani che uscivano dalle porte delle loro malghe o delle loro case isolate sui monti con una bottiglia di vino e fette di salame in un vecchio piatto scheggiato per offrircele durante le nostre marce, e poi, le solite parole: - “anche mio padre era un Alpino” -,oppure, -  “mio figlio era Alpino, adesso è lontano, in Germania a lavorare. Mi sembra di vedere lui” -. Infine quando riprendevamo il cammino: - “mandi, mandi” - il loro saluto che era qualcosa più di un ciao, di un arrivederci. Era qualcosa di speciale, di vero, usciva direttamente dal loro cuore per entrare nel tuo. Un saluto di persone che ti sembrava di aver sempre conosciuto.

Non credevo che a tanti chilometri da casa avrei conosciuto persone che ti rendevano lieve la lontananza e che, al mio congedo, salutavano i miei genitori, venuti a prendermi, con gli occhi lucidi guardando nei loro e sembrava dicessero: -“ state tranquilli abbiamo vegliato noi su di lui” -.

Mandi Cjarnie, mandi.

 

Bruno